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Ptosi palpebrale

Sinonimi: Palpebra calante

Dott. Nicola Leuzzi

Dott. Nicola Leuzzi

OCULISTICA
Medico Chirurgo - Specialista in Oftalmologia

1 Febbraio 2021 - Ultima modifica: 22 Giugno 2021

Indice:

  1. Introduzione
  2. Cos'è
  3. Cause
  4. Sintomi
  5. Diagnosi
  6. Trattamenti

Introduzione

Se il termine “ptosi” indica in generale lo spostamento di una struttura fisica per via della forza di gravità, e può riguardare diverse parti del corpo, la ptosi palpebrale è la più diffusa.

Chi ne soffre parla di “palpebra calante”, in quanto l’occhio sembra chiudersi: la pupilla viene oscurata, talvolta solo in parte talvolta totalmente, e l’unico modo per risolvere il problema (non solo estetico) è la chirurgia.

Tipica dell’invecchiamento, la ptosi palpebrale può colpire anche i bambini. E può avere numerose cause.

Che cos’è la ptosi palpebrale?

La ptosi palpebrale è la caduta, parziale o totale, della palpebra inferiore o superiore. Può essere monolaterale e riguardare dunque un solo occhio, oppure bilaterale e riguardarli entrambi.

La ptosi è lieve se l’abbassamento è inferiore ai 2 millimetri, moderata se è compreso tra i 2 e i 4 millimetri, grave se è superiore ai 4 millimetri.

Può inoltre essere congenita se è presente fin dalla nascita o acquisita se compare in un secondo momento.

Se nei bambini è causata da una distrofia del muscolo deputato al sollevamento della palpebra, o ad un deficit neurologico, negli adulti e negli anziani la causa è di norma l’involuzione senile del tendine del muscolo che solleva la palpebra.

Di norma, la ptosi palpebrale non nasconde altre patologie o è dovuta ad un trauma. In rari casi, però, può essere causata da malattie muscolari o neurologiche oppure da tumori.

Cause

Per evitare che la palpebra “cada”, è necessario che lavorino perfettamente tutte le strutture che la tengono in posizione: il muscolo elevatore della palpebra superiore, il muscolo orbicolare, la placca neuromuscolare e il muscolo di Müller (muscolo tarsale superiore). Quando ognuna di esse svolge il suo lavoro, il margine palpebrale superiore si ferma 1-2 millimetri sopra la cornea e ha una distanza di 9-10 millimetri rispetto alla palpebra inferiore. In caso contrario, si verifica la ptosi palpebrale.

La principale distinzione viene operata tra ptosi congenita e ptosi acquisita, basandosi sulle sue cause.

Ptosi congenita

La ptosi congenita è una condizione presente sin dalla nascita, ed è causata di norma da uno sviluppo non completo del muscolo elevatore. A volte, a determinarla può essere invece un difetto genetico o cromosomico oppure una disfunzione neurologica. Diverse sono le sue sottocategorie:

  • la ptosi congenita semplice è la più frequente e può manifestarsi con diversi gradi di intensità. Per compensare il non completo sviluppo del muscolo elevatore, il bambino contrae il muscolo frontale e tende a spostare la testa di lato rischiando di compromettere la curvatura della colonna vertebrale o di generare strabismo (motivo per cui è necessario intervenire rapidamente per correggere la ptosi);
  • si parla di ptosi congenita collegata ad anomalie della motilità oculo-palpebrale quando il problema è dovuto ad una insufficiente attività del muscolo retto superiore, alla paralisi congenita del III nervo cranico, alla Sindrome di Marcus Gunn (chi ne soffre, ritrae involontariamente la palpebra quando apre la bocca) o ad una malformazione.

Ptosi acquisite

La ptosi acquisita si presenta nel corso della vita adulta, ed è nella maggior parte dei casi dovuta ad un normale processo di invecchiamento.

La ptosi neurogena può avere origini centrali o periferiche. Nel primo caso è spesso dovuta a lesioni del lobo frontale o temporale, e si accompagna ad una paralisi dei muscoli contenuti entro la cavità orbitaria; nel secondo caso, è provocata invece da un’alterazione del III nervo cranico.

La ptosi miogena può essere senile o, più raramente, legata a sindromi miopatiche. Le prime sono causate da un’involuzione delle fibre muscolari del muscolo elevatore e del muscolo di Muller (muscolo tarsale superiore, impegnato nel movimento della palpebra), le seconde sono sono molto meno frequenti e sono dovute a patologie rare (malattia di Steinert, malattia di Basedow ecc.).

La ptosi aponeuretica si presenta in genere su soggetti predisposti a causa di un trauma o successivamente ad un intervento chirurgico (per il distacco della retina, per la cataratta), ed è dovuta all’apertura o alla disinserzione dell’aponeurosi (il tendine del muscolo che eleva la palpebra).

La ptosi meccanica è causata da formazioni sulla palpebra, dovute a tumori benigni o maligne, cicatrici o edemi.

La ptosi traumatica è causata, come il nome suggerisce, da un trauma contusivo o da una ferita lacero-contusa.

La ptosi neurotossica è dovuta all'avvelenamento e, poiché si accompagna spesso ad altri gravi sintomi, va trattata in regime d’urgenza.

Tra le patologie che più di frequente causano ptosi palpebrale troviamo:

  • la miastenia grave, una patologia che provoca una forte debolezza muscolare;
  • la sindrome alcolica fetale, una grave patologia a carico del feto causata dall’alcol assunto dalla madre durante la gravidanza;
  • anomalie congenite;
  • infezioni o infiammazioni della palpebra;
  • ritardi mentali;
  • distrofie muscolari;
  • tumori;
  • ictus;
  • diabete;

Sintomi

La ptosi palpebrale è essa stessa un sintomo. Il paziente si accorge di soffrirne perché la palpebra superiore, di uno o di entrambi gli occhi, cade a coprire l’occhio. Può essere un processo lento, oppure può comparire all’improvviso, e può essere appena percettibile o coprire interamente la pupilla ostacolando o impedendo la vista.

Talvolta, la persona può avvertire altri sintomi quali una difficoltà ad aprire e a chiudere l’occhio, un cedimento della pelle sopra la palpebra e dolore attorno agli occhi. Se a soffrirne è un bambino, per provare a vedere meglio in genere solleva le sopracciglia o porta il capo all’indietro col rischio di avvertire mal di testa o torcicollo.

La più seria conseguenza della ptosi palpebrale è l’ambliopia (o “occhio pigro”), una riduzione della capacità visiva più o meno grave.

Diagnosi

La diagnosi di ptosi palpebrale viene fatta dall’oculista.

La visita consiste in una palpazione della palpebra e dell’orbita palpebrale (la cavità che contiene l’occhio, proteggendolo). In seguito, lo specialista procederà con la misurazione della distanza tra palpebra superiore e palpebra inferiore, e tra il centro del riflesso pupillare alla luce e il margine palpebrale inferiore e superiore; inoltre, valuterà la capacità funzionale del muscolo elevatore e la distanza dal margine palpebrale superiore alla piega cutanea.

Compito dell’oculista è valutare la situazione a tutto tondo, accertandosi che il paziente esegua correttamente i movimenti dell’occhio, che produca un’adeguata lacrimazione e che la rima palpebrale si chiuda correttamente. Dovrà inoltre escludere la presenza di altre patologie quali l’orbitopatia tiroidea (malattia legata ad un malfunzionamento della tiroide), la dermatocalasi (eccesso di pelle sulla palpebra, che si verifica quando il tessuto connettivo perde d’elasticità), l'entropion (il margine della palpebra è ruotato verso l’interno e irrita la cornea) o l’ectropion (il margine della palpebra è ruotato verso l’esterno, causando un’irritazione della congiuntiva).

Una volta diagnosticata la ptosi palpebrale, ne determinerà la gravità e prescriverà ulteriori indagini per approfondirne le cause. Verificherà dunque la sussistenza di un disturbo neurologico, l’eventuale presenza di una massa all’interno della cavità oculare, e chiederà eventualmente di eseguire un esame di imaging (RMN o TC).

Trattamenti

Il trattamento della ptosi dipende dalla sua gravità e dalle cause che l’hanno generata. Se la ptosi è congenita e lieve, senza ambliopia o problematiche quali lo strabismo o una curvatura della testa, in genere è sufficiente un suo periodico monitoraggio. Se lo ritiene opportuno, lo specialista può prescrivere specifici esercizi oculari per il rafforzamento dei muscoli, occhiali per la ptosi palpebrale o lenti a contatto ad hoc per il sostegno della palpebra.

I casi più gravi di ptosi palpebrale richiedono l’operazione chirurgica. La modalità d’intervento viene decisa in base alla serietà della ptosi e alla sua causa:

  • se il muscolo elevatore deve essere rinforzato, si andrà ad effettuare un accorciamento o la reinserzione del suo tendine;
  • se il muscolo elevatore non può essere rinforzato, si utilizza materiale autologo o eterologo per sospendere la palpebra al muscolo frontale;
  • per rinforzare il muscolo di Muller, o per avanzare l'aponeurosi, è applicabile la tecnica transcongiuntivale senza incisioni esterne, ma solo in caso di ptosi palpebrale lieve.

Dal duplice effetto, sia estetico che funzionale, l’intervento chirurgico è seguito dall’applicazione di un po’ di ghiaccio o di un bendaggio leggermente compressivo. Per le prime 24 ore, il paziente deve mantenere la testa sollevata. E, per dieci-venti giorni circa, è possibile che la cute sia arrossata, gonfia e livida. La visione potrebbe essere offuscata oppure doppia, e può esservi tendenza alla lacrimazione e maggiore sensibilità alla luce. Al di sotto della congiuntiva si possono verificare piccole emorragie, che tendono comunque a riassorbirsi dopo pochi giorni in modo spontaneo.

Possibili complicanze della correzione chirurgica della ptosi palpebrale sono:

  • infezioni che richiedono una terapia antibiotica;
  • retrazione palpebrale eccessiva, in genere risolvibile con un massaggio specifico ma talvolta bisognosa di un’ulteriore operazione;
  • lagoftalmo (il paziente non riesce a chiudere bene l’occhio e, se le lacrime artificiali non risolvono il problema, ha bisogno di un ulteriore intervento);
  • perdita della sensibilità palpebrale, in genere spontaneamente risolvibile in tre mesi;
  • secchezza oculare, che rende necessario l’uso di colliri lubrificanti;
  • cicatrici in rilievo;
  • apertura e sanguinamento della ferita;
  • formazione di ematomi da drenare chirurgicamente.

È comunque bene, dopo l’intervento, evitare di guidare per qualche giorno, di compiere sforzi per le prime settimane, di indossare le lenti a contatto per almeno quindici giorni e di prendere il sole per due mesi. Il chirurgo valuterà quando togliere i punti di sutura, e prescriverà la terapia da seguire a base di pomate e di colliri antidolorifici, antibiotici e lubrificanti.

L’operazione chirurgica, tuttavia, viene riservata ai casi di ptosi palpebrale più seri, in cui il paziente presenta un campo visivo ridotto, ha assunto un atteggiamento viziato di testa e collo, ha spesso mal di testa per l’abitudine di aggrottare la fronte così da vederci meglio e ha un aspetto stanco. Negli altri casi, si tende a preferire una modalità d’intervento non chirurgica.